Mi leggo per ricordarmi chi sono.
Mi leggo e mi perdo volentieri tra tutte quelle rotondità delle vocali, le abbraccio, ci scivolo sopra come sulla ringhiera da piccola, oppure ci passo attraverso come si faceva con quelle pesanti tende di velluto rosso che si dovevano aprire per entrare al cinema. Ne sento la morbidezza, attutiscono la rabbia, il senso d’impotenza, la delusione. Colmano il vuoto che ho in mezzo alla pancia. Le abbraccio e mi scaldo. Mi avvolgono come un abbraccio dopo un’attesa troppo lunga, o mi stringono troppo come la tela di un ragno avvinghiata intorno alla sua preda.
Sto bene attenta a evitare gli spigoli delle consonanti. Ma quando li urto, trafiggono. Puntano il dito contro le mie fragilità, le mancanze, gli errori, i difetti che per quanto io cerchi di alterare sono sempre sotto la superficie, e loro lo sanno. Ridono le consonanti. Accusano. Insultano. Insinuano il dubbio. Il maledetto dubbio che io non stia facendo abbastanza e mai riuscirò. Il dubbio dannato che io faccia male a fidarmi, che lo sai Serena come va a finire.
Vocali e consonanti si intrecciano. Formano alleanze strane. Scendono a incomprensibili patti e combinazioni pur di farmi capire qualcosa. Si lasciano modellare, si lasciano guardare, misurare, pesare, valutare. Lasciano che io provi a metterle in fila. Altre volte no. Oppongono resistenza, non vogliono essere affiancate le une alle altre. Non vogliono essere scoperte, forse sanno che non sono pronta per vedere certe parole lì, nero su bianco. Mi vogliono proteggere. Oppure, vogliono vedermi soffrire ancora un po’.
Le parole sono strane. Mi prendono in braccio quando sono debole oppure mi fanno lo sgambetto quando cammino. Sono segnetti. Significano tutto. E non vogliono dire niente. Significano quello che tu vuoi.
Io voglio che siano vere. Che rappresentino la verità nuda e cruda. E le voglio tirare fuori. Le voglio estrarre. Le voglio della forma e della tonalità di grigio che voglio io. E le voglio leggere. Non ho paura. Per ricordarmi chi sono.
Anche se fanno male, perchè le mie parole sono come tante puntine da disegno sparse sul pavimento. E io sono perennemente scalza.
Come quando t'ho sposato.
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