Non sono ferma.
Non proprio.
Sono in piedi.
Ma ciondolo.
Traballo.
Faccio due passi incerti.
Poi prendo la rincorsa e ne faccio due o tre più sicuri.
Poi però inciampo.
Cado.
Prendo fiato.
La gente intorno mi urta passando.
A fatica mi rialzo.
E ciondolo di nuovo.
E traballo di nuovo.
E ricomincio il mio cammino incerto.
Verso cosa non riesco ancora a capirlo.
A tratti mi sembra di dirigermi verso una forma di equilibrio.
Ma la sensazione è sempre precaria.
La catena invisibile legata alla caviglia torna a tirare.
Questa non è libertà vera.
E' avere un certo raggio d'azione, a volte più ampio a volte più limitato.
Posso anche prendere la rincorsa, ma inevitabilmente la catena arriverà al punto massimo di tensione.
E lo strattone all'indietro sarà forte.
Sobbalzerò.
Forse mi slogherò la caviglia.
Non sarebbe la prima volta.
Singhiozzerò lì per terra perchè un'osso rotto fa male, ma il cuore spezzato ancora di più.
E un gesso per quello
non esiste.
E piangerò. E forse qualcuno passando mi accarezzerà i capelli per tirarmi su. Ma io glielo lascerò fare?
E così sto lì seduta ancora un pochino. Prendo un respiro profondo, raccolgo le forze e mi rialzo.
Verso dove?
E quanto lunga sarà la catena stavolta?
E lo strattone stavolta sarà così forte da spezzarmi anche il femore?
Ma soprattutto, l'energia della mia corsa disperata spezzerà anche la catena invisibile stavolta?
Lui può mettermi davanti tutti i meravigliosi ostacoli che vuole.
Tutte le fantastiche distrazioni che vuole.
Ma se decido di spostare il gancio della catena dalla caviglia al cuore, forse la catena potrei tranciarla di netto.
Con la sola forza delle lacrime che hanno già scorso il mio viso mille volte.
Con la sola forza della disperazione di mille addii. E di braccia vuote.
Le mie braccia vuote.
Non sto ferma.
Non sono ferma.
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