E certe parole non sono solo parole quando le senti. Pesano.
Non sono solo parole. Sono palle di cannone. Quando le senti, le guardi al rallentatore mentre ti trapassano le budella e gocce di sangue come tante perline rosse si sparpagliano sul pavimento e ballano la tarantella. E la palla di cannone esce dalla schiena, dietro, e brucia, fiamma viva si attorciglia intorno ai reni rapida e vorace.
Non sono solo parole. Sono come quegli scogli sott’acqua. Quelli affilati come lame di coltello. E ti tagli mentre nuoti e ridi coi tuoi amici di fianco e hai il fiatone e i capelli si appiccicano intorno al viso e respiri così forte che hai la pancia tutta in dentro e i seni cercano di salire su.
Non sono solo parole. Sono insegne al neon fatte a forma del tuo nome. Con una bella “S” pure. Tipo quella della Sambuca Molinari. La freccia punta te. E il neon sfolgora. E ti acceca.
Quelle parole ti accecano per un secondo.
Guardi nel vuoto. Ti senti nuda davanti a quella luce, davanti a quella lama, davanti a tutta quell’artiglieria.
Eppure chi le pronuncia non vuole farti del male.
Ma le parole sono vive. Sono piccoli parassiti che ti cercano, ti trovano, vengono a te.
Non ti girare, non serve.
Ti troveranno sempre. E tu guarderai nel vuoto. E vorrai rivomitarle indietro. E gli occhi bruciano. E la gola fa male. Ma male davvero stavolta. Ed è stato come ingoiare veleno per topi stavolta. Ed è come avere un mozzicone di sigaretta incastrato in gola stavolta.
“Hai la voce bassa Serena, un colpo d’aria anche tu tesoro.”
“…sì… sarà un colpo d’aria…”
Bugiarda.
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