A volte è meglio non porsi la domanda.
Perchè poi l’errore è sempre il medesimo, chiedersi: “come stai Sere?”.
Sembra niente. Eppure è in quel preciso istante che mi incammino nel
campo minato della mia mente, e peggio, del mio cuore. L’istante in cui
mi srotolo come un gomitolo di lana e basta, non trovi più nè capo nè
coda. Come quando non lasci il pezzetto di scotch rigirato su sè stesso e
non trovi più l’inizio, finisce che scorri l’unghia in tondo tremila
volte.
Inizia il faticoso processo di risposta. Mi pongo domande. Ci penso.
Fisso una piastrella del pavimento e credo di aver trovato una risposta.
Per due secondi credo che mi soddisfi o al contrario, sembra che mi
gratti dentro in cerca della “verità” sottostante.
E poi no, ansimando mi dico che non solo non ho la risposta giusta,
ma mi sono posta la domanda sbagliata. E fremo. Le ginocchia fremono. Mi
devo spostare, devo camminare, faccio le scale, lavo l’unica tazza di
caffè nel catino di plastica rosa nel lavandino. Perchè quel catino l’ha
comprato la vecchia me, quella che si prendeva in giro e girava la
testa di là. Troppo spesso.
E poi ci sono mattine come questa. In cui mi rimprovero e mi vieto di
farmi domande. Nessuna. Nemmeno una. Non ti chiedere niente. Il vulcano
dorme stamattina Serena, non andare a urlarci dentro sperando che l’eco
crei qualche riverbero. Lascia stare. Lascia perdere.
Fatti il caffè. Chiudi gli occhi. Scaldati con il suo aroma.
Apri gli occhi, assorbi quel raggio di Sole sulla coperta di tuo zio,
quella che ti ricorda della tua nonna/mamma quando ancora si ricordava
di noi, di lei.
La bimba canta fuori. Lasciati avvolgere e condurre dalla sua voce pura. E vera.
La bimba canta fuori. Lasciati avvolgere e condurre dalla sua voce pura. E vera.
E poi hai un po’ di batteria. Hai avuto una manciata di minuti tutta
per te. Tutta per voi. Più o meno. E si è infilata tra i polmoni, si è
accocolata lì sotto al cuore.
Ora puoi andare avanti qualche giorno senza domande.
Senza troppe domande.
Forse.
E quindi?