Tutti diversi. E tutti uguali: tutti affamati, tutti stanchi, tutti sbadiglianti, tutti sospiranti, molti ciondolavano la testa per riuscire a dormire 10 minuti, molti leggevano e io spiavo sempre. In quel mare di estranei, di sconosciuti conosciuti, io mi sentivo a casa. Adoravo il tragitto. Adoravo stare con “loro”. Tornare in superficie mi spaventava sempre. Là fuori c’era il pericolo vero avevo scoperto.
Però allo stesso tempo, a volte mi sentivo soffocare. Avrei voluto poter respirare senza essere notata. Avrei voluto cacciare un urlo e far sparire tutti magicamente per poter sentire il mio cervello pensare. Tutta questa gente che mi toccava, mi sfiorava, si strusciava, mi respirava addosso, mi sbadigliava addoso, mi piantava gli occhi addosso, mi guardava, cercava di leggermi il badge, mi inquietava.
Credo di sentirmi un po’ come sulla piattaforma della Victoria Line a Oxford Circus.
Sono contenta di essere. Di esserci. Di essere riuscita, almeno superficialmente a connettere con altri esseri umani. Soprattutto i bambini. Chiaccherare con sconosciuti è sempre una cosa che adoro fare. Mi piace scoprire. Mi piace scoprire che quel che non conosco non è una minaccia, ma tutt’altro. Che dietro un viso serioso si nasconde chi non vede l’ora di fare amicizia. Questo mi è stato insegnato da chi ha avuto la pazienza di puntellare il mio muro e farlo crollare dalle fondamenta, sistematicamente, organicamente, spontaneamente. Anche questo è un dono che ho ricevuto. Così.
Aver imparato a dare fiducia a chi se l’è meritata e guadagnata, mi ha aiutata a dare fiducia ai più. Alla folla intorno a me sulla piattaforma.
Li voglio, certo, due minuti per me. Ma tutto sommato, sulla piattaforma ci sto bene.
Sorrido.
E aspetto il mio treno.
Il led come sempre dice che il mio è in arrivo tra due minuti.
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